POLITICAPP | 5 dicembre 2016

Referendum costituzionale

La tripolarizzazione impermeabile e la fuga dal “sì” dei ceti bassi

La tripolarizzazione asimmetrica del quadro politico italiano non perdona. I tre poli restano sostanzialmente impermeabili, ma si delinea il profilo di un blocco sociale riformatore, produttivo e operoso, che vuole pensare, e sperare, a un’Italia differente e, soprattutto, a trazione riformista e non populista. Il ceto medio è, non a caso, il gruppo sociale maggiormente convinto dal “sì”, mentre i segmenti medio-bassi si sono decisamente orientati per il “no”. Nel blocco del “no” incontriamo anche ampi strati giovanili, mentre solo gli anziani hanno lasciato un minor spazio di distanza tra i due campi (ma anche tra di loro la propensione maggioritaria è stata per il “no”).
A guidare la mano degli elettori, quindi, sono state l’appartenenza politica, la condizione sociale e i sentiment del momento. Chi prova impulsi di rabbia, disgusto e tristezza ha votato a maggioranza per il “no”; quanti, invece, vivono sentimenti di tranquillità, attesa e fiducia hanno votato per il “sì” (anche in questo caso in via maggioritaria).
Il “sì” ha diviso gli imprenditori (52 a 48), i dirigenti (51 a 49) e insegnanti delle scuole elementari e medie (53 a 47); ha conquistato gli artigiani (60 a 40) e gli agricoltori. Sono rimasti più in equilibrio, con una propensione al “no”, i quadri direttivi o tecnici (46 a 54 per il “no”) e i pensionati (45 per il “sì” e 55 per il “no”). Netta la scelta del “no” per disoccupati (27 a 73), persone in cerca di una prima occupazione (29 a 71), studenti (28 a 72), operai (36 a 64), liberi professionisti (38 a 62), commercianti (29 a 71), casalinghe e impiegati (40 a 60).
Sul fronte geografico osserviamo il preciso posizionarsi del Sud e delle Isole sul fronte del “no”, mentre, da un punto di vista generazionale, i segmenti più refrattari al “sì” sono risultati i giovani (29% per il “sì” tra gli under 24) e i trentenni (35% per il “sì”), mentre tra gli over 64 anni il “sì” ha raggiunto il 45%.
A dominare la scelta di voto è stato il tessuto impermeabile dell’agone politico italiano. Una tripolarizzazione asimmetrica che, come abbiamo già osservato nel corso delle elezioni amministrative di giugno, porta l’elettorato a schierarsi due contro uno.

Il Pd convince al “sì” l’83% dei suoi M5S, Lega e Fi compatti sul “no”

Una dinamica che non crea nuove dimensioni politiche, ma genera alleanze contingenti e spurie del “tutti contro uno”. Così è stato a Roma e a Torino, così è stato oggi con il referendum. In questo quadro possiamo individuare alcuni tratti indicativi. In primo luogo la tenuta del Pd. Gli elettori del partito di Renzi sono andati in massa a votare e hanno seguito le indicazioni del loro segretario, mettendo la croce sul “sì”. Si sono recati alle urne il 91% degli elettori del Pd. L’83% ha votato per il “sì”, l’8% per il “no” e il restante 9% è rimasto a casa.
La tripolarizzazione asimmetrica ha funzionato alla perfezione anche per gli altri. L’83% degli elettori M5S si è recato alle urne. Il 76% ha scelto il “no” e il 7% il “sì”.
Il restante 17% è rimasto a casa. Stesso discorso per gli elettori di Forza Italia. Si sono recati alle urne l’87% dei berlusconiani, il 13% è rimasto a casa, il 79% ha votato “no” e l’8% “sì”. La Lega Nord è scesa in massa alle urne. L’89% degli elettori è andato a votare. Il 9% ha scelto il “sì” e l’80% il “no”. Solo l’11% dei leghisti è rimasto a casa. Tra i non collocati politicamente, la partecipazione è stata inferiore. Si è recato alle urne il 65% delle persone, optando il 27% per il “sì” e il 38% per il “no” e il restante 35% ha disertato la competizione referendaria.
Se volgiamo lo sguardo al risultato delle elezioni europee del 2014 possiamo osservare che il Pd ha portato al voto per il “sì” 6,8 milioni dei suoi elettori del 2014 (61%); il 22% ha scelto il “no” e il 17% è rimasto a casa. La sinistra ha portato al voto per il “no” il 63% (695mila persone), mentre il “sì” è stato scelto dal 17%.
M5S ha convinto al “no” il 68% degli elettori del 2014, mentre sul “sì” sono andati l’11%. Anche Forza Italia ha portato al “no” il 68% degli elettori 2014, mentre si sono spostati sul “sì” il 13%. La Lega è il partito che ha tenuto di più, con il 72% sul “no”.
Il dato da osservare con attenzione è quello relativo agli oltre dieci milioni di italiani che non avevano votato alle Europee e che oggi sono tornati alle urne. Di questi 4 milioni hanno scelto il “sì”, mentre i restanti 6 milioni hanno preferito il “no”. Il dato è interessante per due aspetti.

Un nuovo blocco sociale contro un blocco politico diviso

Riporta alla luce una quota di elettori di centrodestra che avevano disertato la competizione europea e che oggi si sono ripresentati alle urne; evidenzia una quota di persone che non aveva ascoltato il richiamo rottamatore di Renzi e che oggi risulta interessata a un disegno riformatore e trasformatore del Paese. Il Referendum costituzionale fa emergere un quadro politico su cui è utile riflettere. Da un lato, mostra un universo in gran parte bloccato ai tre angoli tripolari, con elettorati tendenzialmente impermeabili, che votano, in gran parte, seguendo le indicazioni dei partiti di riferimento. Dall’altro lato, affiora un blocco sociale nuovo che, facendo perno sulla parte maggioritaria del Pd, aggrega parti di ceto dei medi produttivi e attivi, intorno all’idea di una trasformazione riformatrice e non populista del Paese. Su questa strada, però, i grandi assenti sono i ceti medio-bassi, che non si sono riconosciuti nel messaggio riformatore e non hanno trovato in esso gli elementi attesi (e agognati) di riscatto, difesa e rafforzamento sociale. Un’assenza che è stata, al fondo, la vera fragilità del fronte del “sì”, indebolendo la proposta riformatrice.
In questo blocco sociale, del tutto in fieri, rintracciamo, quindi, una quota significativa di ceto medio che, superati gli steccati ideologici e di partito (almeno per il 27% dei non collocati politicamente, per il 7% dei grillini, l’8% degli azzurri e il 9% della Lega Nord), si è orientato verso un’ipotesi di trasformazione e rinnovamento. È troppo presto per poter affermare ipotesi di consolidamento di questo blocco, così come per poter disegnare i suoi confini. Di certo, il dato referendario è una base di partenza per un progetto politico che intende fare del cambiamento a trazione riformatrice (e antipopulista) il leit motiv politico e ideale. Per contro, il versante opposto, pur consolidato sui lidi del “no”, appare disomogeneo politicamente e attraversato da due spinte egemoniche contrastanti e destinate alle collisione frontale: quella dei Cinquestelle e quella della Lega Nord, entrambe miranti a divenire punto di riferimento e guida di un futuro governo. Il Referendum, quindi, ha creato un humus fertile per un progetto di rinnovamento riformatore; ha creato una base di manovra fondata su quasi 4 italiani su 10, ma che, per consolidarsi, ha bisogno di un collante identitario, di una vision di Paese e di un’innovata capacità rappresentare un’ipotesi credibile di futuro per i ceti medio-bassi.

CONDIZIONE SOCIO-ECONOMICA

I ceti medi spaccati in due, quelli bassi decisi sul “no”

PROFESSIONI

Artigiani e imprenditori per il “sì”, disoccupati e operai per il “no”

ETÀ E GENERE

Le donne per il “no” alla riforma, tra gli anziani i meno contrari

I SEGMENTI CHE HANNO VOTATO DI MENO

Sono rimasti di più a casa autonomi, poveri e casalinghe

COME HANNO VOTATO I DIVERSI ELETTORATI

Un voto ancorato alle scelte espresse dai partiti